venerdì 28 gennaio 2011

ANCORA IDEE PER LA NOSTRA MOSTRA:L'ERBARIO CARRARESE




























Sulla vita di Serapione il giovane non si conosce quasi nessun
particolare, se non che è vissuto verso la fine del XII secolo. Spesso la
tradizione medievale ha confuso Serapione il vecchio, Yuhanna ibn
Sarabyun, autore nel IX secolo dei Practica, con Serapione il giovane,
che non appartiene all'Oriente musulmano ma alla Spagna del XII
secolo.
Simone da Cremona, alla fine del XIII secolo, attraverso al mediazione
di Abraam da Tolosa, trasmette alla cultura latina medica il lavoro di
Serapione, il Kitab al-adwiya al-mufrada,, che da quel momento
prende il titolo di Liber Serapioni aggregatus in medicinis simplicibus. Il
frate Jacopo Filippo dell'ordine degli Eremitani, alla fine del XIV secolo,
su richiesta del signore della città di Padova Francesco Novello da
Carrara, traduce in dialetto padovano il Liber Serapioni. Il manoscritto
è un magnifico erbario sul quale fu lasciato lo spazio per un gran
numero di illustrazioni di piante, ma ne furono eseguite soltanto una
cinquantina. Esso è noto come Erbario carrarese, o manoscritto
Egerton 2020, conservato alla British Library di Londra. Serapione, nella
sua opera, si interessa solo dei semplici di origine vegetale ed animale
e, nonostante un trattato sui semplici non contempli la presenza di un
antidotario, egli dedica, un piccolo spazio, alle confezioni.
I testi di Serapione, proprio perché sottoposti a numerose traduzioni
(dal siriaco in arabo, poi in ebraico ed infine in latino) presentano
molte alterazioni dei nomi dei semplici ed in alcuni casi delle vere e
proprie metamorfosi interpretative. Ciò accade, in special modo, per
le droghe orientali sconosciute nell'Europa dell'epoca, per le quali si
spacciavano spesso dei succedanei. A questi errori vanno aggiunti
quelli operati dai copiatori e dagli stampatori, per cui molto spesso i
nomi arabi, alterati profondamente, appaiono incomprensibili.
L'opera di Serapione, a differenza di quella del Silvatico, è una
elaborata compilazione desunta, in parte, dai testi di Galeno,
Dioscoride, Mesué, Razes e di altri medici arabi. Egli perciò non parla
mai in prima persona così come fa, invece, il medico salernitano.



Guariento e la Padova Carrarese


Guariento e la Padova Carrarese

Guariento e la Padova Carrarese

Padova, Palazzo del Monte
Padova, Civici Musei agli Eremitani,
Padova Palazzo Zuckermann
Padova, Museo Diocesano

16 aprile - 31 luglio 2011

Straordinario appuntamento con la grande Arte e con la Storia.
Guariento, gli Angeli e la magnifica Padova del Trecento.

Dal 16 aprile al 31 luglio, a Padova "Guariento e la Padova Carrarese", un evento comprendente mostre ed itinerari, promosso ed organizzato dal Comune di Padova - Assessorato alla Cultura e Civici Musei e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
Fulcro dell'evento è la mostra sul Guariento allestita nel rinnovato Palazzo del Monte, sede espositiva della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
Quella che molti pensavano fosse una "mostra impossibile" è invece realtà: tutte le principali opere del grande Maestro degli Angeli, di colui che, dopo Giotto, è stato il più grande interprete della pittura del Trecento a Padova, saranno riunite nella grande esposizione.
Decine di preziosissime tavole e affreschi staccati documenteranno finalmente la grandezza assoluta di un artista che ha saputo precorrere l'eleganza del gotico internazionale. I meravigliosi Angeli, Arcangeli, Cherubini del Guariento saranno affiancati alle altre mirabili opere a tema sacro e profano del Maestro. Accanto ai capolavori del Guariento, la mostra propone opere di Giotto, Pietro e Giuliano da Rimini, Vitale da Bologna, Paolo e Lorenzo Veneziano, Giusto Menabuoi, Altichiero, Vivarini, Nicolò di Pietro, Giambono.
Tutto a comporre un racconto che prima d'ora non era mai stato proposto al pubblico e che, per rarità, preziosità e qualità delle opere esposte, potrà difficilmente esserlo una seconda volta.
La grande monografia sul Guariento allestita a Palazzo del Monte è l'epicentro di una più ampia esposizione che indaga, per la prima volta in modo compito, la "Padova Carrarese". La mostra si dipana in diverse sedi espositive: i Civici Musei agli Eremitani, Palazzo Zuckermann, il Museo Diocesano e la Casa del Petrarca ad Arquà. In quest'ultima è allestito un approfondimento sul Poeta e i suoi anni padovani.
Con quella di Arquà sono ben 10 le sezioni della grande mostra. Indagano a tutto tondo le figure dei Signori trecenteschi di Padova nonché di diversi aspetti della vita di corte e cittadina nel "Secolo d'oro" di Padova: la letteratura, i libri, la musica, la scienza, la scultura, le arti applicate (oreficeria, ceramiche, avori, mobili) la monetazione e persino la moda.
Idealmente la grande mostra si allarga poi ad un itinerario che accompagna il visitatore a scoprire i principali luoghi e monumenti del Trecento padovano. Tra essi la Reggia Carrarese (affrescata dal Guariento) e il Museo Diocesano
Altri angeli, stavolta contemporanei, attendono il visitatore nel Museo Diocesano. Sono quelli di Omar Galliani proposti nella mostra "Il Codice degli Angeli" allestita nella magnifica scenografia del Salone dei Vescovi. Nella suggestione di un dialogo tra le "presenze" contemporanee di Galliani e la sequenza di figure affrescate sulle pareti dell'antica, immensa sala delle udienze, lo stesso Guariento viene evocato con una citazione a punta di grafite.

Le sezioni della grande Mostra

1. Padova Carrarese
Documentazione sui principali esponenti della Signoria.
Attraverso antiche mappe, vedute, modelli, ricostruzioni virtuali, viene illustrata la forma urbis raggiunta da Padova nel Trecento, con la visualizzazione dei principali monumenti civili e religiosi (i monumenti dell'amministrazione civile, la Reggia, il Castello, il Traghetto, S. Agostino, il sistema difensivo e le mura, l'edilizia privata), alcuni dei quali scomparsi o modificati nel corso delle trasformazioni subite dalla città in epoca veneziana.
Strettamente collegate all'illustrazione del sistema difensivo, le armi rinvenute nel fiume Bacchiglione.

2. I libri e la letteratura
Il Trecento Padovano fu uno dei periodi più fertili nella storia della cultura cittadina, anche sulla spinta della famiglia dei principi che attirò artisti e letterati e costituì una ricchissima biblioteca poi dispersa. Numerosi codici sono presenti in città, alla Biblioteca Civica (Libro dei Cimieri, il Mussato, il Vergerio, Statuti delle arti), alla Biblioteca Capitolare, alla Biblioteca del Seminario, a Venezia alla Biblioteca Marciana (Statuti carraresi, Cronaca Carrarese, Mussato, Petrarca), a Rovigo (Bibbia istoriata). Questi importanti esempi sono affiancati da riproduzioni atte a ricostruire in via informatica tale biblioteca anche con la documentazione che rende consultabili in forma virtuale volumi confluiti in grandi istituzioni europee, dalla Bibliothèque Nationale de France alla British Library.

3. La monetazione carrarese
Una regolare monetazione è documentata a Padova già dopo la cacciata di Ezzelino, ma il periodo d'oro delhttp://www.padovaincoming.it/pics/Guariento_ducato.jpgla zecca è quello della Signoria, in particolare a partire da Jacopo II (1345-1350) fino a Francesco II (1390-1405). Il sistema monetario, anche per affrontare sul piano commerciale la concorrenza politica con Venezia, si ampliò con la monetazione argentea e con il prezioso ducato d'oro del quale esistono oggi due soli esemplari. La documentazione include, le monete e le tessere di fondazione, i coni e le medaglie di Francesco II, fra i primi esempi di celebrazione esemplati sull'antichità.

4. Oreficeria del Trecento

Le arti suntuarie e in particolare l'oreficeria ebbero un ruolo di rilievo nella produzione del Trecento padovano, trascendendo la semplice esibizione del lusso e approdando a vere espressioni artistiche.

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Al di là dei gioielli e degli accessori di abbigliamento destinati alle classi più elevate e documentabili attraverso alcuni esempi nella pittura e a qualche oggetto rimasto in

area veneta (fibule, corone, mantelli, mitrie, scettri, gioielli), si sviluppò un'oreficeria religiosa di altissimo magistero, della quale rimangono insigni esempi, principalmente al Museo Diocesano, al Museo Antoniano e ai Musei Civici.

5. Ceramiche, avori, mobili
Dal centro della città sono emersi materiali ceramici trecenteschi, spesso di produzione padovana che permettono di ricostruire un quadro articolato delle abitudini alimentari e delle tecniche di preparazione dei cibi. Altri pezzi, di importazione, permettono di allargare il quadro commerciale ai mercati italiani e mediterranei. La ceramica a Padova è caratterizzata anche da alcune peculiarità nelle forme e nei decori. I materiali per tracciarne la storia sono disponibili

http://www.padovaincoming.it/pics/Guariento_embriachim.jpg

presso i Musei Civici, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, l'Università ed eventualmente presso il Museo della ceramica di Faenza, attestando siti di rinvenimento legati alla reggia, a vie e palazzi del centro, con materiali da pompa e di uso quotidiano. Il quadro legato alla vita quotidiana viene completato grazie ad altra oggettistica, quali elementi di mobilio, manufatti lapidei, avori, campane e chiavi d'epoca.

6. La Musica al tempo dei Carraresi (sezione allestita al Museo Diocesano)
Nel Trecento la città si aprì alla presenza di maestri di grande levatura, legati alla musica negli ambienti della Cattedrale, dello Studio, della Corte. Fra i protagonisti Marchetto da Padova, Johannes Ciconia, Prosdocimo de Beldomandi, Rolando da Casale. In mostra le fonti musicali più importanti dalla Biblioteca Antoniana e dalla Biblioteca Capitolare, ma anche documenti notarili che mostrano l'organizzazione dell'insegnamento della musica insieme a copie di strumenti trecenteschi, collegati attraverso apparati multimediali a immagini a soggetto musicale e all'esecuzione di esempi di musiche civili, da cerimonia e religiose.

7. La scienza al tempo dei Carraresi
Nel secolo XIV transitarono per lo Studio i maggiori umanisti e scienziati europei, in un'epoca in cui l'astrologia costituiva il punto di riferimento per ogni ambito del sapere legato ai destini umani. L'opera emblematica da questo punto di vista è il famoso astrario, elaborato da Jacopo Dondi, ma i significativi progressi della medicina si possono cogliere nel trattato di flebotomia di Bartolomeo Squarcialupi alla Biblioteca Pinali mentre le conoscenze naturalistiche emergono nell'erbario carrarese della British Library.

8. La scultura del Trecento
Nel Trecento Padova vede momenti altissimi nell'arte della scultura, a partire dalle statue di Giovanni Pisano agli Scrovegni. Marco Romano è indicato come il riconosciuto autore della statua di Enrico Scrovegni, nella Sacrestia della Cappella. Al servizio della Signoria fu anche il veneziano Andriolo de Santi, architetto e scultore, autore delle tombe di Jacopo e Ubertino. Nell'ultimo quarto del secolo la figura dominante è quella di Rinaldino di Francia, autore delle statue della cappella di S. Felice al Santo, di Madonne nelle civiche collezioni e al duomo, e forse del sepolcro della famiglia Lupi di Soragna.

9. Petrarca (Sezione allestita presso la Casa del Petrarca ad Arquà Petrarca)
La figura di Francesco Petrarca è fondamentale per la comprensione del clima culturale dell'epoca. Influì in modo determinante anche sulle arti figurative; ambienti della reggia erano decorati sulla base di programmi iconografici da lui ispirati.
Di qui l'inserimento nel circuito della mostra della proposta di visita della sua casa di Arquà, dove è allestita la storia per immagini della vita e dei luoghi nei quali visse il poeta.

10. La moda al tempo dei Carraresi
Gli affreschi che nel Trecento ornano le cappelle gentilizie delle principali chiese padovane rispondono alla precoce comprensione da parte della signoria e della cerchia a essa legata che l'arte può costituire un importante manifesto politico.
Pertanto, nell'episodio religioso cui assistono, un grande spazio è riservato a figure in abiti contemporanei, colte come se partecipassero a cerimonie di corte o svolgessero le loro attività quotidiane. Ciò ci trasmette una vasta mole di informazioni sui costumi dell'epoca, sia delle classi agiate che del popolo. Ne sono state eseguite recentemente riproduzioni che arricchiscono con un nota di vivacità il percorso della mostra.

La Dinastia dei Carraresi che di Padova fece una capitale


La Dinastia dei Carraresi che di Padova fece una capitale

La Dinastia dei Carraresi che di Padova fece una capitale

Il 22 novembre 1405 Padova si arrende a Venezia, dopo sedici mesi di guerra, di cui sette d'assedio, e Francesco II il Novello, ultimo dei signori da Carrara, assieme al figlio Francesco III si consegna ai Veneziani che li imprigionarono a Palazzo Ducale.
Qui li attende in carcere l'altro figlio, Jacopo, fatto prigioniero a Verona nel giugno dello stesso anno.
Il 4 gennaio 1406, in Piazza San Marco l'ambasceria del Comune di Padova fa atto di sottomissione alla Serenissima. Pochi giorni dopo, il 16 gennaio, Francesco Novello viene strozzato in carcere, sorte che tocca ai due figli il 10 e il 22 dello stesso mese.
Si conclude così tragicamente, la Signora carrarese dopo quasi ottant'anni, cui si deve aggiungere il drammatico epilogo della famiglia il 24 marzo 1435 quando fra le colonne di Marco e Todaro nel Bacino d San Marco, viene decapitato Marsilio da Carrara, figlio e ultimo discendente legittimo di Francesco Novello, reo di aver tentato la riconquista di Padova e il ripristino della Signoria.
Solo ottant'anni di regno, quindi, ma ottant'anni di grande storia, decenni durante i quali Padova fu capitale e divenne città di riferimento per le arti in ambiti molto più vasti del solo Veneto.

Ma chi erano i Da Carrara o Carraresi?


La loro origine è longobarda e il nome deriva dalla località di Carrara Santo Stefano, a sud della città, dove avevano un castello e diversi possedimenti. Dopo i saccheggi Longobardi e la completa distruzione di Padova ad opera degli Ungari nell'899, Monselice, con la sua struttura protetta, arroccata intorno al castello e circondata di mura, aveva assunto sempre maggiore importanza nella zona, favorendo la crescita anche dei Carraresi che possedevano diversi territori nell' area limitrofa. Verso la metà del XII secolo, quando Padova si ripopola, torna ad essere sede vescovile e si dota di una nuova cinta muraria, anche i Carraresi costruiscono, come i Camposampiero e i Vigodarzere, le loro nuove residenze in città.
Quando esplode la prima contesa tra Papato e Impero, i Carraresi si schierano con il Vescovo contro l'Imperatore e appoggiano apertamente Verona. Questa loro posizione guelfa permarrà anche durante l'età ezzeliniana dei Da Romano e porterà i Carraresi ad accrescere il proprio potere proprio grazie al contributo alla cacciata di Ezzelino III il Terribile nel 1256. Ma la presa di potere che segnò la fine di Padova libero Comune e l'avvento della Signoria avviene quasi 60 anni dopo quando nel 1318 Jacopo I Da Carrara viene nominato Capitano del Popolo per guidare l'esercito padovano contro Cangrande della Scala che, da Verona, cerca l'espansione verso ovest nei territori vicentini e padovani, protetto dall'Imperatore. La famiglia dei Carraresi è da anni alla ricerca del potere, ma è minata da discordie interne e complotti familiari, oltre che dalla forza delle altre famiglie che gareggiano per la supremazia.
Jacopo, dopo aver respinto una prima volta gli eserciti veronesi cerca un alleato capace di garantirgli un appoggio adeguato alle forze degli Scaligeri. Lo trova nel Conte di Gorizia, vicario del Duca d'Austria, preoccupato per i tentativi di espansione di Verona anche verso nord. L'alleanza si rivelò provvidenziale nel 1320 quando Cangrande della Scala tenta di conquistare la città, stringendola d'assedio.


Quattro anni dopo, alla morte di Jacopo, gli "succede" il nipote Marsilio che viene nominato dal Comune Capitano del Popolo. Probabilmente Marsilio I non ha la stessa forza dello zio, perché cominciano subito le lotte intestine alla città, ma anche alla stessa famiglia per sottrargli il potere. Così, nel 1328, il nipote Niccolò, riuscendo a destituire lo zio, si allea a Cangrande. Questi viene nominato Vicario e riesce a detenere il potere per quasi 10 anni, fino a quando Venezia, preoccupata per l'espansione di Verona e dell'Impero che minaccia la sua indipendenza e la sua possibilità di espansione nell'entroterra, si allea con Firenze e muove all'attacco. Marsilio coglie la palla al balzo, si unisce all'alleanza e riesce, nel 1337 a riprendere il potere in città, grazie soprattutto al momento di confusione seguito alla morte di Cangrande. Pochi mesi dopo anche Marsilio muore e gli succede Ubertino I che riesce a riconquistare i territori perduti e, grazie alla mediazione dei Veneziani, a trovare un accordo con Verona. Nel 1343 da' inizio alla costruzione della Reggia, un vero monumento al ritrovato potere della famiglia. Due anni dopo muore e gli succede Marsilietto detto Papafava che verrà immediatamente assassinato dai cugini Jacopo e Jacopino, figli di Niccolò. Questi sono, come il padre, fedeli all'Imperatore Carlo IV che nel 1348 nomina Jacopo II, diventato Signore della città, Vicario Imperiale. L'anno successivo arriva per la prima volta a Padova, su invito di Jacopo, Francesco Petrarca, che spesso soggiornerà in città e deciderà di passare poi qui i suoi ultimi anni. Un anno ancora e Jacopino muore vittima di una congiura.
Vengono nominati Signori il fratello, Jacopino III e il figlio, Francesco I il Vecchio, che forte dei suoi successi militari contro i Visconti di Milano, nel giro di 5 anni si libererà di Jacopino III accusandolo di congiura e facendolo richiudere nel castello di Monselice dove rimarrà per ben 17 anni. Già l'anno successivo, nel 1355, le dispute con Venezia portano a mutare nuovamente le alleanze: questa volta i Visconti e l'Imperatore sono gli amici che aiutano a bloccare le mire espansionistiche della Serenissima.

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È un periodo di grande fioritura artistica e culturale, grazie anche all'opera di Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco: viene costruita la chiesa di S. Maria dei Servi, nell'attuale Via Roma, il Battistero viene affrescato, gli Eremitani vengono rivestiti di importanti decorazioni. La profonda amicizia tra Francesco I e Petrarca, porterà a Padova il poeta nel 1360, con l'intenzione di risiederci in maniera permanente. Purtroppo la peste lo costringe l'anno seguente a fuggire a Venezia, dove rimarrà per 7 anni. Quando finalmente rientra, Francesco gli fa dono di una casa e alcune terre ad Arquà, sui Colli Euganei. Qui Petrarca si trasferisce definitivamente con la figlia, il genero e la nipote e continuerà a scrivere fino alla morte arrivata nel 1374. L'anno precedente riesce però ad aiutare Francesco e il figlio Francesco Novello a trovare un accordo con Venezia che metta fine alla sfibrante "guerra dei confini".


Nel 1378 scoppia la "Guerra di Chioggia" tra veneziani e genovesi che darà origine ad un balletto di alleanze tra Padova, Venezia, Verona, Milano e l'Austria che porterà a continue espansioni e riduzioni dell'area di influenza dei Carraresi. La massima espansione viene raggiunta nel 1387, con i territori di Feltre e Belluno, la ripresa di Vicenza e una serie di pesanti sconfitte degli Scaligeri.
Nel frattempo l'espansione di Padova ha spaventato sia gli Sforza che Venezia, che si alleano contro la città. Riescono ad avere la meglio, costringendo i Carraresi all'esilio. Francesco Novello riesce a rientrare solo 2 anni dopo, nel 1390.
Ma il declino ormai è inarrestabile: Francesco I muore prigioniero dei Visconti nel 1393 e i tentativi di Francesco Novello di resistere all'espansione veneziana falliscono definitivamente quando la città è presa dai veneziani nel 1405 e Francesco stesso, con i due figli, è incarcerato e ucciso.
Le aspirazioni di governo della famiglia possono dirsi per sempre estinte quando anche l'ultimo figlio di Francesco Novello, Francesco III tenta di rientrare a Padova nel 1435, ma viene catturato dai veneziani e ucciso.
L'altro ramo, quello che derivava da Marsiglietto e da quel Jacopino che Jacopo II fece imprigionare nella torre di Rocca Pendice, assunse come cognome Papafava, originariamente il soprannome dato al loro avo Jacopo e di lì associato a Carraresi per distinguerli dai cugini. I Papafava rimangono una delle famiglie più illustri della città.

Il Castello Carrarese


Il Castello Carrarese

Le origini


Il Castello Cararrese costituisce uno dei più importanti beni storici, architettonici, artistici e militari di Padova. L'antico edificio sorge sull'area che un tempo ospitava il castello fatto costruire da Ezzelino III da Romano, tiranno della città dal 1237 al 1256, come perno difensivo della cinta muraria duecentesca. A costituirne la traccia più notevole è la Torlonga, la maggiore delle due torri dell'antico castello.
Caduto il tiranno le fortificazioni furono abbandonate fino alla signoria dei Carraresi che fece ricostruire il Castello e fece dipingere le due torri a scacchi bianchi e rossi, così come Giusto de' Menabuoi nel 1382 le rappresentò nella veduta della città affrescata nella cappella del Beato Luca Belludi nella basilica di Sant'Antonio. Tutto il castello dunque era decorato dentro e fuori, e i restauri degli ultimi dieci anni eseguiti negli ambienti dell'osservatorio hanno consentito di riportare alla luce visibili tracce di vivo colore rosso e di bianco negli angoli più nascosti della Specola che su quel castello fu edificata.
Il Castello venne collegato alle mura e alla Reggia Carrarese dal traghetto, un passaggio sopraelevato che aveva la funzione di unire i centri del potere politico e militare. A seguito del lungo periodo di pace di cui godette la città sotto il dominio della Repubblica di Venezia, il valore strategico del Castel Vecchio di Padova, così veniva ormai denominato nel Settecento, venne meno.

Il Castello nella signoria dei Carraresi
La data e la paternità del nuovo castello trecentesco trovano la prima diretta conferma nel rinvenimento, avvenuto attorno al 1810, di un pozzo, trovato nel grande cortile situato all'interno di quella parte del castello trasformata in carcere agli inizi dell'Ottocento. Il pozzo era formato di pietre in una delle quali era scolpita la data: 12 giugno 1374, e il nome dell'illustre Francesco settimo dei Carrara, principe di Padova, costruttore di questo edificio.
Nel 1990, in un locale al primo piano della settecentesca casa dell'astronomo, fu rinvenuta una seconda firma del principe: sotto l'intonaco settecentesco apparvero i resti di una decorazione floreale con le iniziali FC, ovvero Francesco da Carrara.
I resti del Castello ebbero successivamente usi diversi (osservatorio astronomico, prigione, ecc.). In particolare il Castello ha avuto funzione di prigione fino al secondo dopoguerra e tuttora l'Amministrazione carceraria padovana mantiene alcuni uffici in piazza Castello.
La trasformazione in Specola aveva dato modo all'architetto Cerato a restaurare quelle che nei suoi disegni erano chiamate "fabbriche dirupate"; nella nuova casa dell'astronomo tutti i muri erano stati intonacati nascondendo così i resti delle antiche decorazioni. Anche l'antico scalone che dal pianoterra portava, attraverso una loggia, alla torre e alle mura occidentali del castello, fu in parte modificato per necessità strutturali, pur conservando l'antico percorso e le colonnine di sostegno della loggia soprastante.

Gli interni
Un altra notevole testimonianza rinvenuta sempre al primo piano piano, è la decorazione di una parete con pappagalli. Le cronache del tempo narrano della stanza dei pappagalli dove mangiava il principe di Padova quando soggiornava al castello. Di questa decorazione si erano perdute traccia e collocazione; qualche storico riteneva si trovasse nella reggia dei Carraresi, e che fosse andata definitivamente perduta. Ora sappiamo con certezza che Francesco da Carrara aveva fatto decorare tutti gli ambienti del castello, un luogo dove si recava per visitare le truppe e dove poteva soggiornare e pranzare in una grande stanza rallegrata da numerosi pappagalli dipinti sui muri; dalle cronache apprendiamo anche come il suo copricapo fosse adornato con le penne degli esotici uccelli.
Anche al pianoterra della casa dell'astronomo sono state rinvenute decorazioni floreali in parte restaurate, mentre nella volta di quell'ambiente della torre dove nel pavimento si trovava il foro di accesso alle prigioni di Ezzelino, e dove nella prima metà del Settecento erano depositate le polveri da sparo, è stato riportato alla luce il grande carro, lo stemma dei carraresi, che necessita ancora, assieme ad altre tracce decorative sulle pareti, di un accurato restauro. In questo ambiente ora è collocata la biblioteca dell'osservatorio.
Una testimonianza, rimasta integra nel tempo, è la Madonna con Bambino situata in un ambiente a nord della grande torre, lungo il percorso occidentale delle mura carraresi. I recenti restauri hanno confermato l'opinione che la Madonna trecentesca, da sempre visibile nei locali della Specola, non si trovasse all'interno di una cappella votiva, bensì fosse collocata alla sommità della torretta difensiva sopra menzionata, di cui ora si possono vedere anche all'interno particolari architettonici come le merlature e le feritoie. Si tratta dunque dell'effigie di una Madonna collocata in un luogo dove

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poteva servire di protezione ed incoraggiamento ai soldati nel caso di attacco al castello.
Alla Specola dunque si trovano prestigiose testimonianze del Castel Vecchio di Padova. Non rimane nulla, invece, se non qualche testimonianza scritta, di un precedente castello con un alta torre detta Torlonga edificato nel decimo secolo a difesa della città ai tempi delle invasioni degli Ungari, come viene riferito dallo storico padovano Giuseppe Gennari nel 1776. Ma quell'edificio e la Torlonga non esistevano più quando Ezzelino da Romano decise di costruire il suo castello: è probabile che fossero crollati durante il disastroso terremoto del 1117 che mandò in rovina molti prestigiosi edifici in quasi tutta la pianura padana.

Il Castello ritrovato
Attualmente il Castello sta vivendo un'importante stagione di restauro, bonifica e rivalutazione per essere restituito alla città nella sua integrità.
Le principali fasi progettuali dei nuovi interventi sono il restauro della struttura e degli affreschi.
Il Castello è destinato così a diventare un'importante polo culturale cittadino attraverso una serie di progetti ed iniziative che prenderanno forma una volta completati i lavori di bonifica e restauro.
Approfondimento sui progetti che riguardano il Castello.

Padova Capitale Artistica del Trecento


Padova Capitale Artistica del Trecento

Padova Capitale Artistica del Trecento

Dopo la crisi del sistema del potere comunale, così come in molte altre realtà della penisola, anche a Padova si venne delineando la transizione verso una forma di potere signorile. A ragione si può ritenere che la fase genetica della Signoria Carrarese inizi già nel 1318 con l'attribuzione, da parte del Consiglio Maggiore, a Giacomo da Carrara, del titolo di Capitano e Signore Generale della Città.
E' indubbio che il comune di Padova, già nel periodo della Seconda Repubblica definita come "epoca d'oro", avesse conseguito notevoli risultati di crescita sul piano economico, sociale, militare ed artistico. Si pensi alla presenza di Giotto chiamato in città dallo Scrovegni che covava aspirazioni "principesche" o ancora al consolidamento del Palazzo della Ragione con la costruzione delle logge in pietra per farne, come deliberò il Consiglio Maggiore "il più bel mercato di panni del mondo", alla costruzione di palazzi e dei famosi ponti in pietra vanto della città.


Ma è solo con l'epopea carrarese che la città inizia compiutamente a connotarsi come capitale
politica ed artistica.
Del resto non poteva essere diversamente: per emanciparsi politicamente da Venezia, la Signoria olre a definire, come farà, una sua particolare strategia geopolitica, investirà moltissimo su un processo di auto rappresentazione della sua forza e del suo sfarzo.
Molti degli interventi di politica urbanistico-architettonica ed artistica, nel corso del Trecento, sono infatti da ricollegarsi a precise esigenze di rappresentazione pubblica del potere carrarese sulla città con lo scopo specifico di fondare su questi interventi di natura principesca il fondamento simbolico del loro potere, ovvero il fondamento della legittimazione della presa della Signoria su Padova.


Padova, in realtà, nella seconda metà del Trecento si veniva connotando come capitale politica di uno stato regionale che occupava un territorio il quale, pur tra alterne vicende, si estendeva dall'Adige a Belluno, da Brescia a Udine.
http://www.padovaincoming.it/pics/Guariento_ducato.jpgUno Stato che batteva moneta, che veniva affinando una sua lingua: emblematico in tal senso l'Erbario Carrarese. Una Signoria, quella carrarese, le cui ambizioni principesche sono esemplificate dal fasto dei funerali di Francesco il Vecchio che, così come raccontano le cronache trecentesche, si voleva far assurgere simbolicamente ad un rango regale.
Solo all'interno di questa logica di rappresentazione del potere del "Carro", mediata da Specifici codici di comunicazione, si spiega la strategia di ridisegno del tessuto urbano e dei luoghi naturalmente vocati a rappresentare pubblicamente l'esercizio del potere.
Significativi, all'interno di questa narrazione del potere carrarese, sono l'estensione ed il consolidamento del sistema delle mura, la costruzione della Reggia di Piazza Capitaniato con la sua Platea domini ed il complesso sistema del traghetto alle mura, parte integrante del sistema difensivo e via di fuga in caso di "romori".

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Il Battistero del Duomo voluto da Fina Buzzaccarini e affrescato da Giusto de' Menabuoi, immaginato quale grande Mausoleo Carrarese costituisce poi altro elemento evocativo non Solo del fasto della Signoria ma riveste significati simbolici più profondi: l'osmosi fra la città e la signoria uniti nell'eterno ciclo del divenire tra nascita e morte, unificate nel segno del Carro.

http://www.padovaincoming.it/pics/altichiero_san_giorgio.jpgO ancora, la cappella Luca Belludi e San Giacomo minore al Santo legate a grandi personalità della Corte Carrarese: ancora lì, nel luogo simbolo del Santo traumaturgo. Non meno emblematico il ciclo di affreschi del grande Altichiero all'Oratorio di San Giorgio ad onorare Lupi di Soragna, il grande condottiero carrarese.

Nel 1374 a ridefinire ancora più con forza la presa dei Carraresi su Padova si iniziavano i lavori della Chiesa dei Servi voluta da Fina Buzzaccarini e prendeva il via la nuova strutturazione del grande Castello Carrarese voluto da Francesco il Vecchio quale nuovo castello della città legato dal traghetto al complessivo sistema della Reggia e delle mura.


Con Guariento alla Reggia, Altichiero e Giusto de' Menabuoi, si chiude il ciclo del Trecento che si era aperto nel 1303 con Giotto ed il ciclo della Cappella degli Scrovegni. Grandi cicli affrescati funzionali alla narrazione della grandezza della Signoria di una città che con i suoi 40.000 abitanti si era venuta a connotare come grande città di rango europeo e sicuramente, per la sua qualità artistica, come una grande capitale della cultura europea del Trecento.

Gli affreschi di Guariento della Reggia dei Carraresi a Padova


Gli affreschi di Guariento della Reggia dei Carraresi a Padova

Gli affreschi di Guariento della Reggia dei Carraresi a Padova

Con l'edificazione della Reggia come palazzo di residenza, fatto erigere da Ubertino nel 1338, la famiglia dei Carraresi afferma il suo potere a Padova. L'antica reggia dei Signori di Padova si configurava come una estesa «isola» nel cuore della città. Interamente racchiusa da una cinta muraria era collegata attraverso il «Traghetto», lunghissimo corridoio pensile, percorribile anche a cavallo, con la prima cinta muraria della città e al Castello. La residenza dei principi era ospitata dal Palazzo di Ponente mentre il Palazzo di Levante fu dapprima destinato alla Curia e poi riservato alle donne. A congiungerli un corpo centrale con ampio cortile interno circondato da un portico a colonne. Di questo ampio complesso, poco è rimasto integro. Durante l'Ottocento, il bellissimo cortile fu demolito. Dietro al Palazzo Liviano e al Duomo, in Via dell'Accademia, troviamo l'unica parte rimasta intatta a simboleggiare la grandiosità della reggia: la Loggia Carrarese, oggi sede dell'Accademia dei Ricovrati ora Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti. La doppia loggia dell'Accademia e le stanze adiacenti, che ancora oggi possiamo ammirare e la cui costruzione terminò nel 1343, costituivano l'abitazione dei Principi. Dopo la morte di Ubertino (1345) si sentì l'esigenza di costruire un luogo di preghiera e di raccoglimento, oltre che per la famiglia, anche per i numerosi ospiti, specie se prelati. La Loggia esterna fu allora chiusa e ridotta a Cappella, che il Guariento affrescò tra il 1355 e il 1360 con le scene del Vecchio Testamento. Nel corso degli anni gli stessi «Ricovrati» dell'Accademia Patavina decisero di abbattere una parete della Cappella per ingrandire la Sala delle Adunanze, distruggendo così una parte dei mirabili affreschi. Nel 1717 la loggia fu liberata dalla sovrastruttura edificata dagli accademici e fu ripristinato il portico con le colonne. La parete occidentale è ancora in gran parte ricoperta dagli affreschi originali disposti su due fasce, ciascuna sormontata da un fregio.

Padova nel Trecento. L'incontro tra arti, scienza, letteratura


Padova nel Trecento. L'incontro tra arti, scienza, letteratura

Padova nel Trecento. L'incontro tra arti, scienza, letteratura

Per tutto il XIV secolo le manifestazioni dell'arte e del pensiero scientifico e letterario corsero su strade tra loro molto vicine, legate alla politica e alla religione.
Già Giotto, nell'eseguire gli affreschi per la Cappella degli Scrovegni, si era valso di un programma iconografico; si è molto parlato in questo senso del ruolo ricoperto dall'Ordine Agostiniano. Nelle celeberrime allegorie dei Vizi e delle Virtù, che decorano lo zoccolo del ciclo si è voluto vedere un preciso messaggio politico legato al committente, i cui riflessi in letteratura si colgono anche nella produzione del padovano Albertino Mussato. Il maestro, nel realizzare uno dei primi cicli decorativi di carattere civile, le perdute pitture del Palazzo della Ragione, ebbe l'opportunità di valersi, come ci narrano le cronache, delle indicazioni del famoso medico e astrologo Pietro d'Abano. Il ciclo astrologico indicava un intimo legame tra gli astri e le vicende della terra e degli uomini, un tema di conoscenza che sarebbe stato sviluppato lungo tutto il secolo.

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I Carraresi, divenuti signori di Padova, compresero immediatamente quale formidabile manifesto politico potesse essere l'arte, nel loro progetto di trasformare la città nella capitale di un vasto stato. Guariento, il primo artista e ricoprire il ruolo pittore di corte, decorò le loro tombe, la loro cappella privata nel Palazzo. Il programma decorativo della reggia, nella quale le cronache ricordano le sale della Tebaide, di Camillo, di Lucrezia, vedeva l'esaltazione dei valori e delle gesta della Signoria la cui legittimazione avveniva attraverso episodi esemplari della storia classica.

In questo senso l'episodio figurativamente più rilevante, la decorazione della Sala degli Uomini Illustri, forse iniziata dallo

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stesso Guariento, proseguita da Ottaviano da Brescia e dall'Avanzi, sulla falsariga del famoso De Viris Illustribus di Tetrarca, poneva sullo stesso piano i Signori della città e gli eroi dell'antichità. Nella decorazione dello zoccolo dell'abside degli Eremitani Guariento, nelle figurazioni dei pianeti che influenzano le attività degli uomini mostra di essere pienamente partecipe di quella cultura astrologica della quale in quegli anni uno dei principali esponenti era Giovanni Dondi dell'Orologio, creatore del famoso Astrarlo un orologio astronomico che permetteva di leggere con una precisione per l'epoca incredibile, il movimento dei corpi celesti che si credeva proiettassero il loro influsso sugli uomini.


La presenza di Francesco Petrarca, in rapporto con i Carraresi da Giacomo II a Francesco il Vecchio, fu fondamentale per la proposizione di un nuovo modello umanistico; non solo instillò nella dinastia l'amore per la grandezza di Roma, ma fu per i Signori ambasciatore e ne celebrò le gesta, seguito da una schiera di poeti come Antonio Beccari e Francesco di Vannozzo.


In sintonia con il clima culturale preumanistico che coinvolgeva gli ambienti dell'Università si svolge l'attività del nuovo pittore di corte, Giusto Menabuoi, fin dalle Virtù nella Cappella Cortellieri agli Eremitani, figure allegoriche cariche di contenuti dottrinali. Lo stesso Petrarca è ritratto più volte nelle sue pitture, ma anche in quelle di Altichiero. Nella proposizione nelle pitture di quest'ultimo di uno spazio ormai prerinascimentale si legge l'attenzione verso gli studi di ottica e prospettiva nei quali eccelse Biagio Pelacani da Parma, che dal 1382 insegnò queste discipline all'Università nell'ottica di una loro filiazione dalla matematica.


Anche negli ultimi difficili tempi della Signoria non mancò l'attenzione verso l'arte: era a Padova, come pittore domestico di Francesco Novello, il pittore fiorentino Cennino Cennini, che proprio da noi scrisse il Libro dell'Arte primo manuale rimastoci sulle tecniche artistiche.

I colori del Guariento alla corte dei Carraresi

Ridolfo di Arpo Guariento - L'Armata celeste

L'Armata celeste, Ridolfo di Arpo Guariento

Dalla prossima primavera la città di Padova schiera per la prima volta a Palazzo del Monte di Pietà una raccolta delle opere cortesi del più elegante dei suoi pittori, Ridolfo di Arpo Guariento, per celebrare il proprio secolo d’oro: il Trecento medievale e umanistico.
Il percorso espositivo della mostra ‘Guariento e la Padova Carrarese’ comprende dieci eventi che presentano la vita e la cultura del tempo (la scultura, la numismatica, l’oreficeria, la cartografia, la musica, i codici, le scienze ecc.) allestiti in diverse sedi espositive, tra cui i Civici Musei agli Eremitani, Palazzo Zuckermann, il Museo Diocesano e la Casa del Petrarca ad Arquà, cui si aggiungono gli edifici storici della Signoria come il Palazzo della Ragione e il Duomo.
Nel periodo della dominazione dei Da Carrara (1318-1405), nel centro patavino vigeva un vivace clima culturale, dovuto alla presenza dell’università, cui contribuirono intellettuali al pari di Pietro d’Abano, Petrarca e Albertino Mussato.
L’eredità della pittura del grande Giotto, attivo nella città ad inizio secolo, sarà raccolta, tra gli altri, proprio dal Guariento, da Giusto de’Menabuoi e da Altichiero da Zevio.
Il Guariento, tra i primi e più raffinati interpreti del Gotico Internazionale, viene scelto dai Da Carrara come pittore di corte: entro il periodo della sua attività a noi noto (1338-1370) l’artista intraprende la decorazione delle loro tombe e della cappella privata nella loro Reggia, esaltando le gesta della Signoria trasposte in episodi della storia classica (la Sala degli Uomini Illustri, finita da Ottaviano da Brescia).
Dipinge poi i Pianeti sullo zoccolo dell’abside degli Eremitani partecipando della cultura astronomica e astrologica dal tempo, di cui era ambasciatore Giovanni Dondi dell’Orologio, inventore dell’Astrario, uno strumento che leggeva il movimento dei corpi celesti. L’opera più famosa dell’artista piovese resta però il leggiadro ciclo degli Angeli, dipinto su tavole lignee per la Reggia dei Carraresi, famoso per la perfezione nello stile e nella composizione dell’immagine. Ogni figura appare flessuosa e perfettamente bilanciata nel sottile movimento lineare impreziosito con ricche e delicate gamme cromatiche, esaltate dai dettagli in oro zecchino applicati sul fondo nero. I volti conservano la fissità bizantina e la levità nell’espressione cortese nella pesa delle anime così come nel controllo i demoni con la lancia, tuttavia qualche androgino celeste inizia ora a rivolgersi al fruitore con un espressione nuova, rivolta all’uomo e alla realtà oltre la sacra rappresentazione.

Guariento e la Padova Carrarese

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Raffaella Ansuini

Un grande progetto-evento, che comprende mostre e itinerari, si terrà a Padova dal 16 aprile al 31 luglio 2011, promosso e organizzato dal Comune di Padova – Assessorato alla Cultura e Civici Musei e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
Fulcro dell’evento è quella che molti pensavano fosse una “mostra impossibile” e che invece è una splendida realtà: tutte le principali opere del Guariento, il Maestro degli Angeli, riunite in questa grande esposizione allestita nel rinnovato Palazzo del Monte, sede espositiva della Fondazione Cassa di Riepsarmio di Padova e Rovigo. Maestro degli Angeli perché autore delle splendide Gerarchie angeliche, dipinte dal Maestro per la Cappella privata della Reggia Carrarese, opere in seguito parzialmente disperse a causa della ristrutturazione settecentesca della Cappella e che nel 1902 furono acquistate dal Museo Civico agli Eremitani. I meravigliosi Angeli, Arcangeli e Cherubini di Guariento di Arpo saranno affiancati alle altre mirabili opere a tema sacro e profano realizzate dal Maestro. Ai suoi capolavori la mostra affianca quelli di Giotto, Pietro e Giuliano da Rimini, Vitale da Bologna, Paolo e Lorenzo Veneziano, Giusto Menabuoi, Altichiero, Vivarini, Nicolò di Pietro, Giambono. Le opere compongono un racconto mai proposto prima al pubblico e che per rarità, preziosità e qualità delle opere, sarà difficile riproporre in futuro.
Abbiamo detto che la mostra a Palazzo del Monte è l’epicentro di una più ampia esposizione che indaga, per la prima volta in modo compìto, la “Padova Carrarese”, ovvero la Padova trecentesca. Infatti la mostra si snoda in diverse sedi espositive: i Civici Musei agli Eremitani, Palazzo Zuckermann, il Museo Diocesano e la Casa del Petrarca ad Arquà. Arquà è il borgo medievale dove nel 1369 Petrarca, ormai anziano e malato, decise di fermarsi e dove ricevette, con ogni probabilità in dono, la casa da Francesco il Vecchio. Nel 1875 la casa fu donata alla città di Padova dal cardinale Pietro Silvestri, entrando così a fare parte del sistema museale civico. Nella casa è allestito un approfondimento sul poeta e i suoi anni padovani. Con quella di Arquà sono 10 le sezioni della grande esposizione che indagano a 360° le figure dei Signori della Padova Carrarese nonché i diversi aspetti della vita di corte e cittadina in quello che è considerato il “Secolo d’oro” di Padova: I libri e la letteratura, La monetazione carrarese, Oreficeria del Trecento, Ceramiche, avori, mobili, La musica al tempo dei Carraresi, La scienza al tempo dei Carraresi, La scultura del Trecento, Petrarca, La moda al tempo dei Carraresi, fino a divenire idealmente un itinerario nella Padova Carrarese.
Per finire, agli angeli del Guariento si affiancano gli angeli di Omar Galliani nella mostra “Il Codice degli Angeli”, nel Salone dei Vescovi nel Museo Diocesano. Una sorta di dialogo tra le “presenze” contemporanee di Galliani e la sequenza di figure affrescate sulle pareti della sala delle udienze, in cui lo stesso Guariento viene evocato con una citazione a punta di grafite.

IL PITTORE DEGLI ANGELI L'oro di Guariento nella Padova del Trecento

Da aprile a Palazzo del Monte un'esposizione raccoglie tutte le maggiori opere dell'artista-chiave della città medievale

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di Virginia Baradel

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IL PITTORE DEGLI ANGELI Loro di Guariento nella Padova del Trecento

La primavera prossima Padova celebrerà l'epopea della signoria carrarese con una full immersion ad alta definizione culturale: rivivrà il secolo d'oro del medioevo, l'indissolubile intreccio di pittura, scultura, poesia, musica, scienza, arti applicate. La città intera con le sue istituzioni culturali, i musei, le chiese, i palazzi, gli oratori e il ritrovato Castello, diventerà teatro di un ricco palinsesto. Il Comune e la Fondazione della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo hanno compiuto un piccolo prodigio, visti i tempi che corrono, e reso possibile un evento che contempla tutte le arti. Il fedele racconto della gloria medievale ruota intorno al genio di Guariento, orgoglio del Trecento patavino, pittor gentile che intaglia nella luce e fa vibrare di grazia il realismo giottesco. I Signori da Carrara, su suggerimento dell'Arciprete di Piove di Sacco, per il cui Duomo aveva eseguito il Polittico dell'Incoronazione, ne colsero la grandezza e gli affidarono la mission della loro trasfigurazione regale cui tenevano al punto da sfidare la Serenissima alleandosi con i suoi nemici. La sfidarono anche nella magnificenza, nell'allestire scrigni di meraviglie da far invidia alle capitali europee o a comuni italiani di più alto lignaggio, come Firenze e Siena. Non esitarono a chiamare a corte le creature più vicine a Dio, quelle che Dante vede disposte su cerchi concentrici intorno al punto sommo dove risiede il Padre Eterno. Le schiere angeliche che decoravano il soffitto della cappella della reggia carrarese sono la sua opera più celebre e universalmente nota, icona del gotico aulico e cortese. Quella cappella dedicata alla Madonna doppiava in modo egregio, mezzo secolo dopo, l'opera somma di Giotto e poteva a buon diritto collocarsi tra i capolavori della pittura gotica in Italia. La mostra-evento «Guariento. Il Maestro degli Angeli» curata da Francesca Flores d'Arcais, Davide Banzato e Anna Maria Spiazzi, aprirà il 16 aprile nelle restaurate sale di Palazzo del Monte e riunirà quasi tutti gli angeli

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dell'antico cielo, in parte conservati ai Musei Civici e in parte disseminati in collezioni private. La mostra vedrà inoltre l'idioma gotico dell'artista padovano, le linee falcate e flessuose, i colori luminosi, le architetture traforate, confrontarsi con colleghi veneziani, bolognesi e boemi che andavano parimenti cesellando una versione del gotico attenta al dettaglio quotidiano quanto alla mistica cortese. Vitale da Bologna, Lorenzo Veneziano, Pietro e Giuliano da Rimini. Nicolò Semitecolo, Giusto de' Menabuoi, Altichiero da Zevio faranno da corona alle opere del Guariento note e meno note, come il Trittico giovanile con la Crocefissione di collezione privata tedesca e le due Madonne con Bambino rispettivamente della Courtand Gallery di Londra e del Metropolitan di NY. Il Guariento è poi in bella vista, restaurato dalla Soprintendenza, agli Eremitani nell'abside maggiore dove, con ardita agilità prospettica, si era prodotto nell'imponente ciclo con il Giudizio Universale e le storie di S.Agostino Giacomo e Filippo, in gran parte distrutto dal bombardamento del 1944, insieme alla Cappella Ovetari. Tra i Musei Civici e Palazzo Zuckermann andrà in scena la nobile vicenda di Padova carrarese, con documenti originali, vedute, modelli, ricostruzioni virtuali. Rivivranno la città trecentesca e i tesori celati nelle biblioteche, nei palazzi, nelle chiese. I codici, le monete, l'oreficeria, le ceramiche, gli avori, i mobili. La spazio eletto della musica verrà invece allestito al Museo Diocesano vis-à-vis con palazzo del Monte. Un controcanto che vale anche per gli angeli visto che alle gerarchie celesti che affolleranno le sale dell'ex Monte di Pietà, farà eco nel Salone dei Vescovi un'installazione di Omar Galliani il cui rarefatto simbolismo, che cova la luce entro la nigredo della grafite, offre una versione contemporanea degli afflati angelici. La scienza farà la sua parte e avrà il suo punto di forza nel famoso astrario, l'"orologio" inventato da Jacopo Dondi. E che dire della scultura a partire da quella Madonna di Giovanni Pisano in Cappella Scrovegni con Maria che inaugura l'anchement, il contracolpo dell'anca nel reggere e guardare il Bambino che diventerà una matrice del Gotico, da cui non saranno esenti nemmeno gli Angeli del Nostro. Per la poesia non poteva esserci miglior sede che la casa del Petrarca ad Arquà.

15 gennaio 2011

La Signoria dei Carraresi

Stemma CarrareseSe per Padova il Duecento aveva costituito per molti aspetti il vero e proprio inizio di una nuova era segnando in maniera incisiva il volto stesso della città medievale, il Trecento fu un secolo di vicende alterne, di espansione economica e territoriale, della magnificenza dell’arte e della scienza, della gloria e dell’annientamento di una delle più potenti dinastie del secolo, quella dei da Carrara. Dal 1318, anno in cui inizia ufficialmente la Signoria Carrarese, fino al 1405, data della sconfitta definitiva, i Carraresi, famiglia dotata di un esuberante orgoglio, avida di potere e di ricchezza con un particolare gusto per l’uso delle armi e della guerra come soluzione ad ogni controversia, ma anche famiglia di illuminati mecenati della cultura, dell’arte, e della scienza, caratterizzarono tutto il territorio padovano lasciando in eredità segni importantissimi, tangibili e suggestivi, delle loro appassionanti vicende storiche e soprattutto favorirono in maniera strabiliante lo svilupparsi delle arti figurative e degli studi scientifici presso l’Ateneo patavino.

Arte e cultura di Corte

Molto precocemente, forse addirittura prima che presso le altre corti padane, si sviluppò a Padova quel linguaggio noto con il nome di “arte di corte”, caratterizzato da una raffinata eleganza e da novità iconografiche legate alla vita cavalleresca, di corte o alla mitologia. E' con la lunga signoria di Francesco il Vecchio (signore dal 1354 al 1388) che, sotto questo aspetto, Padova raggiunge il suo massimo splendore, testimoniato in maniera eloquente dalla miriade di strCastello carrareseaordinarie opere d’arte, dovute alla magnificenza di Francesco I, e soprattutto alla passione per la cultura e l’arte di sua moglie Fina Buzzaccarini. La corte carrarese divenne polo di attrazione di artisti e letterati, fucina di opere d’arte e di fervore intellettuale, vi approdarono poeti, pittori, scultori, scienziati, medici e giuristi. Padova, divenne nel Trecento uno dei più importanti centri culturali dell’Italia settentrionale con riflessi nelle principali corti del Nord Europa. Straordinarie personalità quali Guariento, Altichiero, Giusto de’ Menabuoi, Andriolo de’ Santi, Francesco Petrarca, per citarne solo alcune, trovarono protezione e sostegno alla corte carrarese.

I Carraresi e l’Università
I Signori da Carrara protessero l'Università e non ne intaccarono gli statuti di autonomia e di libertà. Favorirono l'afflusso di studenti da tutta Europa e chiamarono ad insegnare al Bo i migliori docenti, favorendo anche la loro permanenza a Padova, invitandoli a far parte della loro Cancelleria e considerandoli loro familiari. Ottennero con Bolla di Papa Urbano V nel 1363 per l'Università la facoltà di Teologia che, allora, esisteva solo alla Sorbona e a Bologna.

Francesco Petrarca e i Carraresi

“E tardi assai mi mossi e venni a Padova, ove quell’ececlso, non qual si suole fra gli uomini, ma qual cred’io s’usa tra i beati del cielo, m’ebbi accoglienza di tanto gaudio, di tanto amore, di tenerezza tanta ripiena che non potendo a parole fra che altri l’intenda, miglior partito stimo il tacerne”. Con queste parole Francesco Petrarca descrive la sua decisione di trasferirsi a Padova, richiamato dalle continue sollecitazioni di Giacomo II. Fu infatti su invito di questo Carrarese che Petrarca arrivò a Padova, una prima volta nel 1348, ma in maniera più ufficiale nel marzo del 1349 quando potè ottenere il canonicato di s. Giacomo alla Cattedrale. Questo fatto legò per tutta la vita il poeta alla città, dove senza dubbio egli si trovò a suo agio

Francesco Petrarca

nel fervido clima culturale della corte carrarese, vicinissima al colto mondo universitario, e della non meno dotta curia, dove il Petrarca mantenne stretti rapporti con il vescovo Ildebrandino Conti, già conosciuto alla corte papale di Avignone. Se i cosiddetti pre-umanisti padovani, Lovato de’Lovati, Rolando da Piazzola, Albertino Mussato, Marsilio da Padova avevano dato impulso alla riscoperta della classicità, esplorando biblioteche ed archivi, il Petrarca continuò nella ricerca di opere antiche e potè condurre in tutta serenità e tranquillità i suoi studi sui testi antichi. Per le continue affettuose cure di Giacomo II nei confronti del poeta, il Petrarca ne decantò spesso la generosità e la bontà e lo pianse amaramente quando apprese la notizia dell’uccisione dell’amato mecenate. Oltre che l’arrivo e la divulgazione di nuove idee la presenza del poeta a Padova comportò il soggiorno in città di personaggi illustri desiderosi di incontrarsi con lui, tra cui Giovanni Boccaccio, giunto a Padova nel 1351, con il quale il Petrarca condusse intense giornate di studi e conversazione. Francesco I figlio e successore di Giacomo II onorò il poeta non meno del padre, con lui instaurò un rapporto familiare, lo tenne in grande considerazione soprattutto come consigliere nei rapporti diplomatici, ed infine gli fece dono della casetta ad Arquà, dove il poeta visse gli ultimi anni della sua vita assieme all’amata figlia, al genero e poche altre persone. Qui trascorse giornate in cui si dedicò pienamente alle sue attività preferite *“..Leggere, scrivere, meditare sono al presente come furono fin dalla mia prima gioventù i miei piaceri più cari”* finchè la morte lo colse fra il 18 e il 19 luglio 1374. La tradizione vuole che reclinasse il capo su un codice di Virgilio, a notte fonda, nel suo studiolo.

Lo splendore di una Reggia

La Reggia Carrarese, residenza dei Signori di Padova, venne edificata da Ubertino da Carrara a partire dal 1338 nella zona vicino al Duomo. La Reggia, di cui oggi rimangono tracce inglobate in altri monumenti, impresse un nuovo particolare sviluppo, moderno ed elegante, alla parte occidentale della città. Il nuovissimo monumento architettonico, aperto in logge e cortili, circondato da alte mura per un perimetro di circa 600 metri, costituiva una vera e propria insula nella città, degna dimora destinata ad ospitare la sfarzosa corte Carrarese. Il grandioso complesso di edifici che comprendeva anche il cosiddetto “traghetto”, un lungo corridoio pensile sostenuto da ventotto arconi e largo tre metri che collegava palazzo e castello e demolito nel 1777, fu subito arricchito da cortili interni, orti e giardini, da tre grandi sale di rappresentanza ornate di pitture a fresco, e da tutta una serie di ambienti di servizio quali cucine, cancellerie e staze per i corpi militari di guardia. Oggi di tanta magnificenza restano poche testimonianze: del palazzo nuovo rimane la la sala degli Uomini Illustri (nota come Sala dei Giganti) che dell’epoca conserva un unico preziosissimo lacerto di affresco raffigurante Francesco Petrarca nel suo studiolo; del palazzo vecchio si è salvato il portico doppio, noto come la Loggia, elegante e raffinato esempio di architettura trecentesca; ed alcune stanze con lacerti di affreschi. Al primo piano dell’Accademia, in quella che è oggi la Sala delle Adunanze, si può percepire almeno in parte l’atmosfera della Cappella privata dei Principi. Alle pareti sono gli affreschi inerenti alle Storie dell’Antico Testamento realizzati tra il 1349 ed il 1354 circa da Guariento, mentre le bellissime tavole lignee con le gerarchie angeliche che un tempo decoravano il soffitto completando il tema iconografico della Cappella, sono conservate ai Musei Civici Eremitani.

Cimiero di Ubertino da Carrara

l’insegna del cimiero con il saraceno dalle corna d’oro scelto come simbolo da Ubertino I da Carrara ed in seguito anche da Francesco I e Francesco II. Le corna d’oro sarebbero state aggiunte da Ubertino a causa di un tradimento della di lui moglie con Alberto della Scala, mentre le ali d’oro sarebbero simbolo dell’acquisizione di titoli imperiali.

Affresco Stemma Carrarese

Stemma Carrarese

*Imperial sedendo fra più stelle / dal ciel dises’ un carro d’onor degno / soto Signor d’ogn’altro più benegno. / Le rote soi guidavan quatro done, / Justicia e Temperancia cum Forteza / ed àn Prudenza tra cotanta alteza*. (madrigale musicato da fra’ Bartolino da Padova). Il carro, stemma della famiglia carrarese, sotto la signoria di Francesco il Vecchio fu interpretato in chiave allegorica come simbolo delle virtù che un buon governante deve avere.

Tomba di Giacomo II

Situata sulla parete nord della Chiesa degli Eremitani, detta tomba, insieme a quella di Ubertino da Carrara, si trovava originariamente nella chiesa di S. Agostino (non più esistente, essendo stata distrutta nel 1822). Alla morte, ravvicinata, dei due Carraresi la famiglia commissionò i due monumenti sepolcrali ad Andriolo de' Santi. La tomba di Jacopo II si distingue per le colonne in marmo rosa, la decorazione pittorica eseguita da Guariento intorno al 1351, e gli otto distici elegiaci di Francesco Petrarca, amico di Jacopo II. Nato agli inizi del XIV secolo, Jacopo II si impadronì del governo della città con un'azione di forza uccidendo il 6 marzo 1345 il successore designato da Ubertino. Amante delle lettere, fu Jacopo a determinare con la collaborazione del vescovo Ildebrandino Conti la venuta a Padova di Francesco Petrarca. Fu pugnalato per motivi di invidia e gelosia personale il 19 dicembre 1350 da un suo lontano parente, Guglielmo da Carrara, a sua volta immediatamente trucidato.

Tomba di Ubertino

Collocata esattamente di fronte alla tomba di Jacopo II, la tomba di Ubertino è costituita da un arcosolio e da un'arca pensile sorretta da mensoloni, su cui è distesa la figura del defunto in abiti civili.

Sepolcro Ubertino

L'arcosolio è finemente cesellato lungo i bordi da motivi vegetali che nel sottarco si alternano a mezzi busti di Santi e da due figure di angeli nei pennacchi. Il sarcofago vero e proprio reca una Madonna con il Bambino, mentre lungo la cornice vi sono angeli. Ubertino, considerato il primo vero signore di Padova, assicurò pace e prosperità a Padova alleandosi con Venezia, in aperto contrasto con gli Scaligeri di Verona, promosse numerosi interventi edilizi, tra cui la costruzione della Reggia, promosse l'industria ed il commercio, favoriì gli studi conferendo nuovi privilegi all'Università. Non avendo avuto figli legittimi, due giorni prima di morire designò suo erede Marsilietto Papafava, che però venne trucidato su ordine di Jacopo II dopo soli 41 giorni di governo.

PADOVA, ESTATE NEL SEGNO DEI CARRARESI

La città di Giotto e del Petrarca riparte dai Carraresi
per riappropriarsi dello statuto di "Città d'Arte"

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Il cimiero di Francesco I da Carrara, Signore di Padova dal 1350 al 1388 con il simbolo del Carro, emblema della Signoria, immortalato dal Giorgione nella Tempesta.È questo il nuovo brand, scelto dall'Assessore alla cultura del Comune di Padova Andrea Colasio per rilanciare Padova come città d'arte.

"Padova - afferma Colasio - è stata una delle grandi capitali culturali del '300 e di quest'epoca, caratterizzata dalla Signoria Carrarese, conserva ancora l'anima profonda. Un'anima da riscoprire e rivalorizzare per ritrovare su diessa la propria memoria, identità e vocazione."

Importante il lascito artistico di quel secolo con i capolavori di Giotto, del Guariento (a lui il prossimo anno sarà dedicata una mostra), di Giusto de' Menabuoi, di Altichiero, di Jacopo da Verona, degli affreschi della Loggia Carrarese, della grandeenciclopedia astrologica per immagini del Salone grazie a una temperie culturale che vedeva presenti artisti e letterati tra i quali Francesco Petrarca.

Mettere in relazione questo immenso patrimonio storico con i linguaggi della contemporaneità è quanto sipropone, con un nuovo format, "PADOVA ESTATE CARRARESE" il programma di eventi culturali dellaprossima stagione estiva del Comune di Padova.

Oltre 250 eventi, che coinvolgono un intero tessuto urbano, per collegare il Trecento al terzo millennio.Un "cartellone" che non si ferma alla città di Padova ma si estende sull'ampio territorio, ancor oggi riccodi testimonianze, sul quale i Carraresi avevano costruito un autentico "Stato regionale".

Su questo scenario si dipana un ricco calendario di mostre, concerti, cinema, incontri, teatro, danza, poesia che chiama a raccolta i grandi nomi dello spettacolo internazionale e il meglio, per nienteprovinciale, della cultura e dello spettacolo padovano.

Rassegne cinematografiche in Arena Romana e sui Bastioni, teatro e concerti ai Giardini dello Zukermann, Notturni d'Arte e grandi eventi musicali con Ligabue e icone del pop come Dylan e i Jethro Tull, per finire con i Solisti Veneti del Maestro Scimone e l'Orchestra di Padova e del Veneto. E ancora le serate jazz, il tango con artisti internazionali nel cuore del centro storico di Padova, le attività teatrali e musicali ai Bastioni e alle Porte.

"Padova carrarese. Il Trecento padovano tra storia e arte" è il tema dell'edizione 2010 dei Notturni d'arte, una collaudata e fortunata iniziativa che impegna le serate estive in visite guidate ai maggiori capolavori della città, una proposta quasi sempre overbooking. Programmati quest'anno 26 appuntamenti, dal 30 luglio al 4 settembre in partenza dai Musei civici agli Eremitani per toccare tutti i principali luoghi cittadini del '300.

Dal Portello a Ponte Tadi, dalla Basilica del Santo a Piazza Duomo con gli affreschidel Battistero, dall'Orto botanico ai Palazzi civili a quelli religiosi. Ma fuori città i Notturni d'artedelineano un autentico percorso trecentesco. Fanno tappa al Castello di Monselice, a Due Carrare, a Piove di Sacco e alle mura medievali di Cittadella, al Castello di San Martino della Vanezza a Cervarese Santa Croce, alla Casa del Petrarca ad Arquà, al Castello di Valbona di Lozzo Atestino a Este per finire con una serata di degustazioni con il menù dei Carraresi.

Incontri ed eventi per i Musei agli Eremitani - che conservano tra le tante opere le Gerarchie Angeliche, capolavoro del Guariento e il Crocefisso di Giotto - tra questi Il Perìpatos, incontri passeggiatasulla storia di Padova antica presso il Chiostro Albini dei Musei Civici agli Eremitani: il 3giugno, "Padova e l'Adriatico preromano", il 10 giugno "La leggenda di Antenore" e il 24 giugno, "Cleonimo e l'orgoglio patavino".

Un palinsesto unico che getta un ponte tra identità e contemporaneità. Per i turisti è inoltre disponibile Padovacard- Padova Carrarese EVENTI (www.padovacard.it ), la tessera per visitare in modo nuovo, economico e facile i luoghi più significativi della città e della provincia di Padova e partecipare agli eventi dell'estate Carrarese.

Infine l'estate Carrarese lascerà un segno permanente per ricordare ai padovani i luoghi più significativi della propria storia e accompagnare i turisti lungo un percorso più ragionato. Si tratta di un itinerario carrarese realizzato con 80 pannelli Mirabilia che illustrano i luoghi più significativi della storia padovana. Dalla Reggia al Battistero, dal Palazzo della Ragione alla Cappella degli Scrovegni, dall'Arena al Castello ritrovato.

Sull'Astrario di Giovanni Dondi dall'Orologio

IL FABBRO SEVERINO E L’OROLOGIO DEI CARRARESI

di Aldo Bullo

Come ogni ricostruzione storica, anche la storia della tecnologia deve ricorrere a ipotesi per colmare i vuoti delle documentazioni. Anzi, le difficoltà sono maggiori, sia per la pigrizia degli ingegneri a descrivere in modo particolareggiato le loro costruzioni, sia per la distruzione delle macchine allorché diventino inutilizzabili. La distruzione o la dispersione è molto meno frequente per le Cronache, gli Statuti e le Opere d’Arte.
Alla luce di queste considerazioni, appare eccezionale la figura di Giovanni Dondi, che ci ha lasciato il primo trattato di meccanica mai scritto, così come è stato eccezionale e fervido di innovazioni l’ambiente in cui è vissuto. Quanto segue è la sintesi di una ricerca per dare una risposta a qualcuno dei tanti problemi che si riscontrano nell'evoluzione storica della scienza e della tecnica del Trecento veneto.
Gli avvenimenti considerati si svolgono in tre località: Chioggia, i mulini delle Bebe (nel circondario di Cavarzere), e Padova.

Iniziamo con la lettura dei documenti

Documento (1): (Archivio Antico Chioggia - Libro Consigli n.23 - f.114v)
Il giorno, mercoledì, 26 dicembre 1313 Jacopo Dondi è assunto come medico del Comune di Chioggia con un salario di lire 200 annue.
Documento (2): (Archivio Antico Chioggia - Libro Consigli n.24 - f.21v)
Il giorno 18 settembre 1323 il comune concede al medico Jacopo Dondi un aumento salariale di lire 50 annue.
Documento (3):(Arch. di Stato - Venezia . M.C. Avogaria di Comun Philippicus f.9)
Il giorno 24 febbraio 1335 il Senato della Repubblica Veneta respinge la richiesta di Jacopo Dondi di poter macinare liberamente nel proprio mulino nel territorio delle Bebe.
Documento (4): (Archivio Antico Chioggia - Consigli 24 - f.175r)
Il 6 giugno 1340 il Maggior Consiglio di Chioggia assume per 4 anni il magistro Severino "favro" di Venezia, mettendogli a disposizione casa e negozio ed anche la possibilità di lavorare per conto terzi.
Documento (5): (Archivio Antico Chioggia - Consigli 24 - f.177r)
Il 23 luglio 1340 il Consiglio si riunisce di nuovo e obbliga gli artigiani a registrare in un pubblico quaderno tutti i lavori eseguiti.

Nota: Nel 1379, durante la guerra tra Chioggia e Genova (alleata con Padova), andarono distrutti alcuni libri di Verbali del Maggior Consiglio di Chioggia. La perdita di questi volumi provoca un "buco" storico che va dal 1341 al 1381, rendendo non documentabile quanto qui esposto; per cui il lettore, in base alle sue conoscenze, è libero di valutare come meglio crede l'attendibilità della nostra ipotesi.

CHIOGGIA, anno 1344

Siamo nel 1344 e per il magistro Severino fabbro scade il contratto con il Comune di Chioggia. Non sapremo mai (cfr. nota precedente) se quel contratto sia stato rinnovato, ma si consideri che il magistro Severino è l'uomo della nostra ipotesi. Avrà egli seguito i Dondi a Padova?
Sappiamo di certo che verso il 1344 Jacopo Dondi, medico del Comune di Chioggia, astrologo, scienziato, proprietario di mulini, ecc., inizia i suoi contatti con Padova, dove sembra non avere particolari legami se in una occasione deve ricorrere ad un piccolo prestito di denaro tramite notaio. Poco dopo vi si trasferisce definitivamente, mentre l'orologio del Palazzo dei Carraresi fa bella vista di sé. Questa concordanza del 1344 potrebbe essere casuale, ma potrebbe non esserlo se legata alla seguente domanda.

Domanda cruciale: Come è possibile che Jacopo Dondi, di professione medico comunale, si trasferisca a Padova e costruisca in prima persona un orologio astronomico, se non si ammette che:
a) doveva già avere delle ottime conoscenze meccaniche,
b) doveva già avere ottime conoscenze scientifiche,
c) doveva già avere a disposizione fabbri esperti di rotismi.
Ma accettare le tre condizioni riportate sopra equivale anche ad affermare che quando era medico a Chioggia, in casa Dondi di orologi se ne parlava, se ne studiavano e si provavano. Ma quando? Ritorniamo al 1340.

IL MAGISTRO SEVERINO FAVRO
Severino non è un semplice , se viene cercato, chiamato da Venezia e definito "magistro". Il documento n. 5 ci dice che, con molta probabilità, i privati gli chiedono subito alcuni lavori particolari. Tra i richiedenti potrebbero esserci anche i Dondi? Non è da escludere, perché duplice potrebbe essere stato il motivo:
1) i mulini,
2) un prototipo di orologio.
I Dondi avevano i mulini nel territorio delle Bebe, al confine tra Venezia e Padova; i rotismi dei mulini sono soggetti a logorio, a rottura, ad essere riparati, studiati e migliorati. E un fabbro è prezioso. Ma forse è da supporre qualcosa di più impegnativo.

L'OROLOGIO DEI CARRARESI
In quel periodo in casa Dondi sicuramente la realizzazione di un prototipo di orologio deve essere stata nell'aria. Jacopo non è solo medico, ma è un grande studioso e scienziato, scrive libri e indaga un po' su tutto (i Dondi estrarranno il sale dalle acque termali euganee).
Le ruote del mulino delle Bebe devono essere state un'ottima palestra di studio e approfondimento dei rotismi, sia per Jacopo sia per il figlio Giovanni.
Una mente "scientifica" come quella di Jacopo non si ferma di fronte al lavoro manuale anche a rischio di essere additato come "vile meccanico"; e questa passione operativa la trasmette al figlio Giovanni, tanto che Manzino de Motta scriverà che Giovanni ha costruito l'Astrario da solo, con le sue stesse mani.
Ammettendo anche un margine di errore, si può però affermare, senza essere avventati, che quando i Dondi giungono a Padova, sono già in grado di padroneggiare la costruzione di un orologio complesso, che segna le ore, il percorso del Sole e quello della Luna.
In caso contrario, si dovrebbe allora parlare di un "miracolo", perchè non è possibile che in brevissimo tempo acquisiscano tanta sicurezza da proporsi come precursori di tecniche meccaniche d'avanguardia, che necessitano di lunghe esperienze operative sia per quanto concerne la lavorazione dei materiali, sia per il complicato assemblaggio delle parti.

IL MULINO DELLE BEBE

Dopo aver ipotizzato un legame tra il fabbro Severino, Jacopo Dondi e l'Orologio Padovano, evento oltremodo probabile, espongo un "richiamo" ai rotismi dei mulini, che mi è sorto spontaneo, studiando il cap. VII del manoscritto Lat. VIII, 17, "Planetarium", della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, testo che è posteriore di qualche decennio e che completa la prima del Tractatus Astrarii
Ecco dove vedo una relazione tra i rotismi del mulino ed il rotismo dell' Astrario.
La ruota esterna del mulino, quando la sua forza non è utilizzata, è lasciata "in folle" sul suo asse. Al momento di utilizzare la sua "forza", si provvede con facilità a rendere solidale un'altra ruota, che viene trascinata in rotazione trasmettendo il moto a tutti gli ingranaggi.
Diciamo, per semplicità di linguaggio, che la ruota grande del mulino si trova in stand-by, però è sempre potenzialmente "pronta", grazie alla continua pressione dell'acqua.

http://www.astrofilipadova.it/gif/dondi30.gif

L'azione del peso supplementare G sulla ruota dell'anno E interviene quando alla mezzanotte l'arpione D fa alzare la leva di arresto.

L'ASTRARIO
Giovanni Dondi ha apportato all'astrario una modifica che mi ha fatto pensare subito ai suoi mulini nel territorio delle Bebe, località del circondario di Cavarzere al confine tra la Repubblica di Venezia e la Padova dei Carraresi. Vediamo il problema e la soluzione trovata (vedi figura).
Problema: Come si vede nella figura, la ruota magistra A dell'Astrario gira, trascinata dal peso B presente ad un capo della corda avvolta sul rullo, a velocità controllata (=tempo) dallo scappamento a verga T, e muove la ruota oraria dell'orologio C, da cui partono i rotismi del Sole e della Luna.
A mezzanotte un arpione D aggancia un'altra ruota che imprime alla Ruota dell'Anno E il movimento di un dente, che muove i rotismi P che calcolano la posizione dei 5 pianeti.
La ruota oraria in quell'istante dovrebbe fare uno sforzo enorme per muovere nello stesso istante circa novanta ruote. Si potrebbe aumentare il peso B (= forza) sulla ruota magistra, ma ciò farebbe andare troppo veloce la ruota oraria C (= tempo).
Soluzione: Giovanni Dondi trova una semplice e genialissima soluzione. Sopra la Ruota dell'Anno posiziona una robusta ruota F. L'altra estremità dell'asse può girare libera su un perno di sostegno. L'asse porta un rullo sulla cui corda pende un peso "supplementare" G. Il peso tenderebbe a far girare la ruota dell'Anno in avanti, ma questa non può girare, perchè una leva d'arresto le impedisce il movimento.
Pertanto la Ruota dell'Anno è sempre potenzialmente "pronta" per "aiutare" la ruota oraria a reggere al grande sforzo al momento della mezzanotte. Diciamo che è in stand-by.
A mezzanotte l'arpione D della ruota oraria C con un piccolo sforzo fa alzare la leva d'arresto. In quel momento la ruota dell'Anno, sotto la spinta del peso supplementare, ha tanta energia potenziale e può facilmente trasmettere il movimento a tutti i rotismi dei quadranti. Come si vede si tratta di una soluzione fantastica, ideata dopo la costruzione del primo Astrario!

Sull'Astrario di Giovanni Dondi dall'Orologio

I DONDI E L'OROLOGIO DELLA TORRE DI S. ANDREA IN CHIOGGIA

di Aldo Bullo

Se vi recate a Chioggia, non perdete l’occasione di salire sulla millenaria Torre di S. Andrea per godervi la visione del panorama, e soprattutto per vedere, ancora funzionante, uno degli orologi più antichi del mondo, se non il più antico. A quel tempo le persone più interessate alla misurazione del tempo erano gli astronomi, o meglio gli astrologi, per l’esatta conoscenza dell’ora della levata del sole necessaria per gli oroscopi. La storia dell’orologio è stata però alla base, come sappiamo, dell’astronomia di posizione e della misurazione della longitudine geografica.
L'antico quadrante biancoazzurro posto sulla Torre funziona ormai da qualche decennio con un apparato elettrico. L'originale antica macchina, databile a oltre 620 anni fa, che ho rimesso in funzione dopo una delicata e accurata pulizia, si trova al quinto piano della torre. È stato anche riprodotto il quadrante esterno e i visitatori possono vedere il funzionamento completo di un orologio medioevale di rilevante valore storico, la cui origine si intreccia con la storia della celebre famiglia Dondi.
Il primo documento che possediamo porta la data del 26 febbraio 1386. Vi si legge di spese sostenute per un orologio che Pietro Boça sta "studendo", cioè sistemando o riparando. In quell'anno è ancora vivo Giovanni Dondi e in città abita Catarina Borato, vedova di Gabriele Dondi, fratello di Giovanni.
Come è noto, i Dondi nel 1344-45 si trasferiscono da Chioggia a Padova per installare nella Reggia Carrarese il celebre orologio astronomico, distrutto in un incendio nel 1390 e poi sostituito da un altro costruito intorno al 1430 secondo un disegno fornito da Novello, discendente dai Dondi. La complessità della costruzione di un orologio astronomico (indicante la posizione del sole nello zodiaco e le fasi della luna) è tanto complessa che i Dondi la avranno "padroneggiata" sulla base di esperienze acquisite su orologi comuni. Infatti nel suo libro, Tractatus Astrarii, Giovanni Dondi presuppone come semplice il lavoro della costruzione di un orologio, e descrive le lavorazioni meccaniche della costruzione del suo Astrario in modo così accurato e meticoloso, da rivelare una applicazione personale come artigiano, benché non sia da escludere anche il supporto di aiutanti fabbri.
Sebbene non ci siano documenti che in modo inconfutabile attribuiscano ai Dondi l’orologio di Chioggia, siamo propensi a ritenerlo una loro opera, sia per gli altri orologi da loro costruiti, sia per la fama che aveva questa famiglia nel campo dell’astronomia, sia per il loro impegno nelle attività tecniche e industriali. Basti pensare che possedevano dei mulini ed avevano l'autorizzazione dei da Carrara di estrarre il sale dalle acque dei Colli Euganei. In secondo luogo ci sono alcuni elementi meccanici caratteristici che, anche se sembrano insignificanti, richiamano un modo di lavorare molto personalizzato. Infine non vanno sottovalutati i legami che i Dondi hanno sempre avuto con la città lagunare. Tuttavia non ci sono documenti che in modo inconfutabile attribuiscano ai Dondi l'orologio di Chioggia, o un altro specifico orologio all'infuori di quello di Padova e dell'Astrario.

L'OROLOGIO Come si vede dal disegno schematico l'orologio è alquanto elementare. Precisiamo subito che il pendolo è stato applicato nella seconda metà del '700. Per non complicare la nostra spiegazione del funzionamento, non è stata disegnata la parte meccanica relativa ai rotismi per il suono delle ore.
Quadrante. L' antico quadrante ha 24 ore suddivise da I a XII e di nuovo da I a XII per ordine di Toaldo nel 1789.
Lancetta. E' presente una sola lancetta che fuoriesce dalla raggiera del Sole che sta al centro. La lancetta gira sul quadrante una sola volta in un giorno.
Peso. Il moto all'orologio è dato dal peso, che per forza di gravità scende verso il basso facendo ruotare il rocchetto, a cui sono solidali e coassiali: a destra, il pignone e i rotismi preposti a dare la lettura del tempo; a sinistra, la ruota e i rotismi preposti a dare la scansione del tempo.
Lettura del tempo. L' asse della lancetta è coassiale alla ruota di 120 denti, che nella parte alta si gira verso destra e compie un giro completo in un giorno. Il pignone che sta sotto ha 15 denti e compirà 8 giri (120:15=8).
Scansione del tempo. Il meccanismo che sta a sinistra del rocchetto è calcolato per scandire il tempo in modo che il rocchetto si giri 8 volte al giorno consentendo alla lancetta di fare un giro completo al giorno.

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Schema dell’orologio della torre di S. Andrea di Chioggia, citato la prima volta in un documento del 26 febbraio 1386.

Ruota Magistra. A sinistra del rocchetto che porta il peso abbiamo la ruota di 150 denti che girerà anch'essa 8 volte, "sviluppando" 1200 denti, che faranno compiere ben 100 giri al piccolo pignone di 12 denti.
Ruota Seconda. Il pignone di 12 denti è coassiale alla ruota che ha 60 denti e la fa girare anch'essa 100 volte, con uno "sviluppo" di 6.000 denti.
Ruota Scappamento. La ruota precedente fa girare 1000 volte il piccolo pignone di 6 denti, che a sua volta fa girare 1000 volte la ruota dello scappamento che ha 32 denti, con uno "sviluppo" di 32.000 denti.
Ancoretta. Il suo movimento di "va e vieni" determina la precisione di un orologio, frenando o accelerando il passaggio di un dente della ruota dello scappamento. Nel medioevo era una verga, cioè come un diametro con un "plettro" nelle due estremità, posizionato davanti alla ruota, e frenava un dente nella parte alta e dopo un dente nella parte bassa.
Avendo nell'arco di un giorno 86400 secondi, e dovendo muovere 32.000 denti, si fa in modo che l'ancoretta lasci passare un dente per volta ogni 2,7 secondi. Infatti abbiamo:

sec/giorno denti/giorno secondi/dente
86.400 : 32.000 = 2,7

Pendolo. (Modifica introdotta a metà '700). A questo punto si deve regolare il pendolo, in modo che una oscillazione duri 2,7 secondi. Ecco le formule:

http://www.astrofilipadova.it/gif/periodo.gif

Nel nostro caso usiamo la prima formula. Poiché conosciamo già il valore del tempo e cerchiamo la lunghezza del pendolo, avremo:

Lpendolo = 9,8 * (2,72 : 6,28 2) = metri 1,811

Nota conclusiva Con un po' di pazienza spero siate riusciti a seguire il funzionamento dell'orologio, che ci lascia sempre un po' sgomenti, abituati come siamo a sottovalutare la scienza dei secoli del medioevo. Ma quello che vi sorprenderà maggiormente, se verrete a Chioggia, sarà il movimento dei rotismi per il suono delle ore. Una cosa straordinaria, una ingegnosità da rimanere a bocca aperta o da far venire la "pelle d'oca" come è accaduto ad un mio amico ingegnere elettronico.

http://hist.science.online.fr/astrario/SmallerPictures/AstrarioCover.jpg

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L'astrario è stato da sempre considerato una meraviglia della tecnica. Creato da Giovanni Dondi nella seconda metà del '300, l'astrario era un orologio, un astrolabio comprendente un calendario, e gli indicatori del sole, della luna e dei pianeti. Prevedeva una visualizzazione continua dei principali elementi del sistema solare e dei calendari giuridici, religiosi e civili. L' intenzione del Dondi era di aiutare la gente, anche comune, a comprendere i concetti base astronomici e astrologici

La figura di Giovanni Dondi, detto Dall’Orologio, risulta essere una delle più poliedriche del 1300. Matematico, filosofo, astronomo e medico concepì e costruì, nel 1364, un planetario che dovrebbe essere ricordato tra le meraviglie del mondo per le soluzioni tecniche adottate nel campo della meccanica.

L’astrario di Giovanni Dondi è andato distrutto ma il suo lavoro è illustrato nel manoscritto intitolato "Tractatus Astrarii Johannis De Dondis Paduani Civis Cui Tres Sunt Partes" conservato presso la Biblioteca Capitolare di Padova e pubblicato nel 1960 dalla Biblioteca Apostolica Vaticana.

Questo manoscritto non è l’unico esistente perché il desiderio di avvicinarsi sempre più alla perfezione spinse il Dondi a rivedere il suo lavoro e a riscriverlo più volte apportando tutte le modifiche che di caso in caso gli sono parse necessarie. Confrontando le varie versioni sembra molto probabile che il manoscritto della Biblioteca Capitolare di Padova sia il capostipite.

Prima di procedere con la ricostruzione (la ricostruzione è stata fatta traducendo il manoscritto latino e seguendo le minuziose descrizioni dell’autore ), cerchiamo di inquadrare le figure di Jacopo e Giovanni Dondi per comprendere meglio la genesi dell’astrario.

Orologio astrario di piazza dei Signori

Restauro ultimato

Torre dell'Orologio

Orologio astrario di piazza dei Signori

Restauro ultimato

Torre dell'OrologioOrologio astrario

Dopo 30 anni Padova è tornata ad avere il suo Orologio astrario, sono stati infatti ultimati i lavori di restauro della Torre di piazza dei Signori.
L'inaugurazione si è tenuta giovedì 24 giugno 2010, in piazza dei Signori.

L'Orologio astrario è stato realizzato nel 1344 da Jacopo Dondi da Chioggia, nel 1437 l'Orologio è stato ricostruito fedelmente ad opera degli orologiai Matteo Novello, Giovanni e Giampietro dalle Caldiere.
L'Orologio rappresenta la teoria astronomica Tolemaica di un sistema geocentrico che poneva la Terra al centro dell'Universo.

La Torre, alta 30 m. dal piano stradale, è dotata di 5 piani interni, di cui i primi 3 sono stati destinati a contenere le parti del meccanismo dell'orologio, gli altri 2 costituivano la residenza del maestro orologiaio, custode e manutentore.
Il movimento a gabbia è dotato di 2 "treni": il treno del tempo e quello del suono della campana.
Il quadrante ha una forma circolare: nella fascia esterna è incisa la numerazione delle ore con caratteri romani, la fascia interna, in lastre di piombo, riporta le stelle di rame. La terza fascia, invece, contiene i simboli zodiacali a rilievo.
Al centro si trova il pianeta Terra.
La lancia che indica le ore con il Sole è alla base, la Luna, invece, compare su una finestra circolare.
Tutti i segni zodiacali, tranne quello della bilancia che manca, sono rifiniti con foglia d'oro zecchino.

http://padovanews.it/images/stories/padova/torre_orologio.jpg

"La torre dell'orologio rappresenta uno dei simboli dell'epopea carrarese - spiega l'assessore alla Cultura Andrea Colasio - Si trattava, infatti, dell'antica porta di ingresso alla Reggia di Piazza Capitaniato. L'astrario del Dondi rappresenta uno degli elementi che hanno fatto dire alla grande storiografia francese che la Padova del '300 non solo è stata una grande capitale artistica con Giotto, Guariento, Giusto dè Menabuoi, Altichiero, ma ha rappresentato anche un momento di svolta nella storia della scienza e della tecnologia.

Erbario carrarese

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http://www.bioguida.com/upload/rte/Erbari%2005.jpgA partire dal XIV e XV sec. furono eseguiti in Italia numerosi manoscritti in un latino che tendeva al volgare o in volgare: in essi confluiscono diverse tradizioni testuali e figurative con frequenti contaminazioni di carattere magico, religioso ed alchemico. Verso il XV ed il XVI sec., parallelamente all’invenzione della stampa, ci sono due erbari straordinari per qualità di esecuzione che preannunciano nuovi atteggiamenti nella raffigurazione botanica: l’Erbario Carrarese, ora alla British Library di Londra, che figurava nella biblioteca del celebre naturalista Ulisse Aldrovandi ed il Liber de simplicibus di Benedetto Rinio conservato alla Biblioteca Marciana di Venezia. Nell’Erbario Carrarese è inserito un breve trattato di botanica del medico arabo Serapione il Giovane vissuto in Spagna nel IX sec. Quest’opera è stata eseguita a Padova, centro importantissimo per la sua Università, e le piante sembrano il risultato di un nuovo approccio al mondo naturale. Il codice Rinio invece fu redatto dal medico di Conegliano Niccolò Roccabonella , mentre i disegni spettano all’artista veneziano Andrea Amadio. L’avvento della stampa nella seconda metà del XVI secolo ha apportato un cambiamento enorme nel mondo dei libri: la nuova tecnica porta infatti le incisioni al posto dei disegni dei manoscritti, pur essendoci un periodo di coesistenza. Inizialmente, con l’uso della xilografia, l’illustrazione botanica fa un passo indietro, poiché la nuova tecnica ha bisogno di essere sviluppata e si nota la differenza con l’armoniosa evoluzione degli erbari manoscritti contemporanei. La perdita del colore della xilografia viene supplita talvolta da una colorazione manuale.

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